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ispirazione marziana - scritto da Henry Festa  (racconto - prologo ed alcuni brani)
Tutto ebbe inizio negli anni cinquanta del secolo ventesimo, quando Attilio Fracassani, un oscuro inventore calabrese, in seguito a delle sue formidabili intuizioni riuscì a costruire il 'Sicurometro' al quale diede appunto il suo nome.
Controversi sono i risultati degli studi e delle ricerche dei fisici e degli esperti di scienze astronautiche contemporanei se considerare il 'Sicurometro del Fracassani' come l' antesignano di tutti i computer di bordo della maggior parte dei veicoli spaziali progettati dalla Nasa dagli anni sessanta del ventesimo secolo al ventiduesimo secolo.
Ma in quella fredda notte del 22 dicembre 1955 Attilio Fracassani non riusciva proprio a riposarsi, neanche per pochi minuti. La straordinaria mole di equazioni quantitistiche, che da alcuni mesi gli erano di penoso tormento mentale, non sembrava potessero condurlo ad una vera e propria soluzione alla strana idea che oramai aveva sopraffatto tutti i suoi pensieri: costruire un calcolatore superveloce, ma di minime dimensioni, da poter poi installare su qualsiasi tipo di veicolo: terrestre, aereo o marittimo, al fine di monitorarne costantemente le prestazioni per poterle poi incrementare ed ottimizzare automaticamente. Da una semplice bicicletta ad un ipotetico vettore spaziale. Infatti in quegli anni si era ancora ben lontani dal poter costruire un qualcosa che potesse navigare nel cosmo. Sicuramente sia gli americani che i russi stavano già progettando i primi satelliti artificiali. Ma è probabile che le intuizioni di Fracassani andassero ben oltre le conoscenze scientifiche dei massimi scienziati mondiali dell' epoca. Si era ancora alla preistoria dei computers e dell' ingegneria spaziale, anche se alcuni fisici partendo dalla semplice idea di applicare la matematica alla fisiologia avevano già gettato le basi della moderna cibernetica.
Ma erano ignari del fatto che Fracassani tutto ciò l' aveva immaginato almeno dieci anni prima.
E chissà se fosse solo una mera inquietante coincidenza che proprio nell' anno in cui Fracassani inventò il suo Sicurometro moriva Albert Einstein.

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... erano le tre del mattino ed un gelido vento di tramontana soffiava insistente sulla finestra della stanza-laboratorio di Fracassani distraendolo di continuo.
Le valvole al magnesio recuperate da una vecchia radio guasta, dimenticata nella cantina, apparentemente funzionavano bene nel prototipo di calcolatore che Fracassani stava quasi finendo di costruire, ma appena vi immetteva gli algoritmi di programmazione, digitantoli sulla tastiera di fortuna smontata da una macchina per scrivere ed adattata al protocomputer, si spegneva tutto.
Qualcosa non aveva funzionato. Riprese di nuovo a calcolare le impostazioni dello schema elettronico. Rifece daccapo tutte le equazioni vettoriali e quantistiche. Montò e smontò il tutto per almeno altre venti volte. Controllò i collegamenti elettrici e meccanici. Stabilizzò la potenza coassiale. Sostituì alcuni cavetti usurati.
Diede energia. Ma il computer continuava spegnersi.
Dov’ era l’ errore? si chiedeva. Eppure quel tipo di valvole secondo i suoi complessi calcoli avrebbero dovuto far funzionare il tutto. Aveva ormai la convinzione assoluta che fossero la chiave definitiva per completare la sua invenzione.
Intanto la stanchezza cominciava a pesargli e all’ alba un colpo di sonno ebbe il sopravvento, facendogli lentamente scivolare la testa sul banco di lavoro.
Erano tre notti che non dormiva. Sprofondò in un’ assurdo sogno di formule matematiche e strane macchine dall’ aspetto così bizzarro che non si capiva a cosa servissero e se sarebbero mai state costruite, oppure chissà se si, in un ignoto futuro.

Si svegliò di soprassalto verso le due del pomeriggio e si accorse di avere un gran fame.
Si guardò nello specchio fuori la stanza: erano quattro giorni o giù di lì che non si radeva. Aveva proprio un brutto aspetto. Sembrava fosse appena tornato dalla Luna.
Andò in cucina. Con avidità divorò del pane con mortadella e formaggio. Appena fu sazio i suoi pensieri andarono indietro nel tempo, agli anni dell’ università ed al suo eccentrico professore di fisica Davide Strato quando gli diceva che la soluzione ad un problema spesso è dentro di noi in un angolo remoto del nostro cervello e non ne siamo consapevoli perchè siamo convinti che essa è molto più complessa di quanto sembri.
Questo ricordo gli girava nella testa sempre più velocemente fino a che con la sua immaginazione non gli sembrò di vedere un bagliore. Un bagliore di una lampadina? Una lampadina? Una lampadina nel vero senso della parola. Perchè? magari si! ma si! Forse era quella la soluzione. Apparentemente bizzarra, assurda, il tassello mancante. Una lampadina.
Una comunissina lampadina ad incandescenza da sostituire con una delle valvole della serie installate all’ interno del calcolatore. Quanti misteri nascondeva ancora la fisica? pensò. La scienza non ne aveva scoperto tutte le leggi? continuò a pensare. Certo che no. Però riflettendo, una lampadina, anche se gli appariva assurdo, sarebbe probabilmente servita ad equilibrare i sovraccarichi di potenziale elettrico generati dalle valvole e che causavano lo spegnimento della macchina.
Tolse la terza valvola della serie e la sostituì con una lampadina da cinquanta watt; con una lima e una pinza a becco la adattò alla sede della valvola e dopo averla ben fissata diede energia al calcolatore. Cominciò ad immettere i codici di programmazione, attese il tempo necessario all’ elaborazione dei dati e tutto funzionava.
Almeno così sembrava. Ma dopo circa venti minuti la luce della lampadina iniziò a diventare sempre più intensa fino a far bruciare il filamento di tungsteno all’ interno. Contemporaneamente esplosero due valvole della serie con un botto così forte da far balzare per lo spavento il gatto di casa per almeno due metri dalla sedia dove stava accucciato fino a farlo cadere a zampe tese ed il pelo rizzato sul fatiscente armadio della stanza-laboratorio.
Ripresosi dallo spavento, lui ed anche il gatto, e dopo aver riflettuto a lungo per l’ ennesima volta, Fracassani sostituì le valvole al magnesio esplose e la lampadina però cambiandola con una da 15 watt. Aveva usato una lampadina troppo potente per il delicato circuito. Non se n’ era accorto in tempo. Controllò tuttò l’ assemblaggio ed i contatti elettrici e mise in funzione il computer.
Dopo il bip acustico che segnalava che tutto procedeva bene completò l’ immissione dei software di programmazione.
Come prima prova ordinò al calcolatore di eseguire un’ equazione di quarto grado la quale fu risolta in una frazione di secondo. Poi due equazioni, in seguito quattro ed infine otto. Calcolò i tempi d’ esecuzione, formidabili! sempre meno di una frazione di secondo. Approssimativamente in un millesimo di secondo il computer risolveva calcoli complessi e senza subire il benchè minimo segno di surriscaldamento.
Forse non si rendeva conto che per quell’ epoca ciò era un fatto assolutamente straordinario.
Infatti i computer esistenti negli anni cinquanta del ventesimo secolo impiegavano alcuni minuti per calcolare equazioni e formule matematiche non particolarmente complesse, e poi erano così ingombranti da occupare lo spazio di locali grandi almeno quanto palestre mentre il computer di Fracassani aveva le dimensioni di poco meno di un televisore.

Che Fracassani non fosse del tutto consapevole del grande valore scientifico e tecnologico della sua formidabile invenzione dipendeva forse dal fatto che viveva in un piccolo paese montano della Calabria, abitato per lo più da umili pastori, ove non era certo facile trovare persone con cui poter discutere delle proprie teorie.
Aveva avuto la passione per la fisica fin da bambino e con molti sacrifici economici dei suoi genitori era riuscito a completare gli studi universitari a Roma ove aveva conosciuto scienziati di fama mondiale che già lavoravano ai primi esperimenti di cibernetica. E questa nascente scienza che aveva come scopo quello di poter un giorno costruire delle macchine pensanti ad immagine dell’ uomo l’ aveva molto affascinato, così come i primi progetti di veicoli spaziali e di missioni esplorative del sistema solare e di Marte, il pianeta rosso, eterno enigma degli scienziati di ogni epoca.
Aveva anche sentito parlare dei progetti di satelliti artificiali degli americani e dei russi, ma chissà perchè gli sembravano idee superate e si chiedeva perchè gli scienziati non li avessero già realizzati nel diciannovesimo secolo, essendo già allora state teorizzate le procedure astronautiche per metterli in pratica.
Ma su questo argomento, oltre che dei calcolatori elettronici, in particolar modo era tutto ciò che riguardava Marte che lo affascinava molto. Trascorreva intere giornate a pensare quale tipo di astronavi si sarebbero dovute costruire per raggiungerlo; immaginava che aspetto potesse avere il paesaggio marziano e se fosse abitato da creature intelligenti...